| IV.2.3.
La produzione industriale
Il primo sintetizzatore ad essere prodotto industrialmente fu quello realizzato
da R. Moog nel 1966. Il Moog Modular System (o C 3) era
di struttura modulare completamente componibile. Costituito da un mobile alto
quasi un metro diviso in tre ripiani, poteva ospitare da 15 a 35 moduli.
La
tastiera di cinque ottave di estensione era bifonica, e provvedeva a generare
le tensioni per il controllo dei vari moduli. I
moduli si connettevano per mezzo di jack e di relative prese poste sul fronte
dell'apparecchio. Venduto nelle configurazioni precostituite "Model
15", "Model 35", "Model 55", erano
realizzabili altre configurazioni mediante moduli complementari separati.
Tra i vari moduli si ricordano i vecchi oscillatori 901-b e
l'unita' di comando (driver) 901-a, sostituiti in seguito con i
più stabili 921-b. il modulo 921-a (driver), aveva la funzione di
unità di controllo generale della frequenza e della simmetria dell'onda
quadra dei moduli 921-b, a cui venivano collegati per una maggior versatili d'uso.
I moduli 921-b, erano degli oscillatori (cfr iii.2.1.) veri e propri dotati
di controllo manuale della frequenza, funzionanti anche come lfo, e generanti
ognuno 4 forme d'onda (sinusoidale, quadra, dente di sega, triangolare) contemporaneamente.
inoltre il 921-b era dotato di sincronizzazione degli oscillatori (escludibile)
e di due uscite chiamate "ac modulate" e "dc modulate".
Il modulo 921 era invece un VCO (cfr iv.2.2.) dotato di una particolarità
costruttiva (clamping point) con cui era possibile far cominciare la forma
d'onda da un determinato punto (triggerabile) scelto tramite un potenziometro.
Le forme d'onda generate erano quattro (come nel 921-b), e disponibili contemporaneamente
su quattro uscite separate. Inoltre era possibile prelevare una forma d'onda
regolabile in ampiezza e selezionabile tramite un selettore che si presentava
contemporaneamente su due uscite, di cui una era sfasata (cfr
i.1.2.) di 180 gradi rispetto l'altra. Chiaramente anche il 921 poteva
funzionare come lfo dopo lo spostamento di un selettore che metteva l'oscillatore
in sub audio. Si ricordano i favolosi filtri passabasso 904-a, i VCA 902, i driver
921-a per controllare cinque 921, i generatori d'inviluppo 911, il banco di filtri
907, l'envelope follover 912, e il sequencer 960. |
Nel 1968 l'ingegnere
americano Alan Robert Pearlman fonda la ARP instruments, società
per la costruzione e la commercializzazione di sintetizzatori.
Nel
1970 la ARP presenta il modello 2500, un modulare tipicamente da studio
diretto predecessore del ARP 2600
(1971) che per la sua praticità d'uso e per la sua perfezione costruttiva
si pone ancor oggi in rilievo tra la marea di sintetizzatori in commercio.
L'obiettivo della ARP era quello di offrire in un'unica struttura uno studio
elettronico in miniatura. infatti il 2600 era contenuto in una custodia che ne
facilitava il trasporto, e dotato di riverbero stereofonico, di preamplificatore
microfonico, di ring modulator, di sample & hold, di envelope follover e di
due voltage processor (cfr iv.2.4.) inoltre possedeva un amplificatore incorporato
che offriva al musicista un monitoraggio stereo tramite due altoparlanti montati
sullo strumento stesso. L' ARP
2600 possedeva quindi tutto il necessario per processare segnali esterni
e modificarli per mezzo della macchina. la generazione del suono era affidata
a tre oscillatori "full range" (incredibilmente stabili) con frequenza
variabile da 3 hz a 20 khz, che producevano cinque forme d'onda: triangolare,
quadra, sinusoidale, rampa, e quadra a simmetria variabile. Un VCF passa
basso con un adsr a quattro sub eventi e un VCA completavano la sezione di base.
la grande trovata dello strumento era una connessione interna delle sezioni base
(VCO VCF VCA), che poteva essere modificata tramite dei patch cords che interrompevano
la normale successione dei moduli. Infatti si poteva entrare e uscire nelle
varie sezioni dell'ARP 2600 tramite dei jacks mini posti sul pannello con cui
si realizzava qualsiasi circuito. Questo permetteva la creazione veloce di
collegamenti per uso live mantenendo la flessibilità del sistema modulare.
Nel 1976 lo strumento viene rinnovato e dotato di una tastiera in grado di
suonare dei bicordi assegnabili mediante cavettatura a due VCO, con un lfo addizionale
e un pedale per l'inserimento del portamento (per i glissati). a queste innovazioni
si contrappone la scomparsa dello "scale" regolabile dalla tastiera,
con la conseguente divisione dell'ottava nel sistema temperato, superabile agendo
sui controlli di ingresso in tensione dei tre oscillatori. Nonostante fosse impossibile
sincronizzare gli oscillatori (se non con delle facili modifiche), e mancasse
un filtro passa alto l'ARP 2600 era interfacciabile con qualsiasi altra macchina
grazie ai suoi voltage processor con cui si potevano uniformare tutti i tipi di
trigger e di tensioni. Nel
1969 la EMS (electronic music studios) di Londra inizia la produzione del
sintetizzatore VCS 3 (voltage controlled
synthesizer 3 oscillator). Progettato da Peter Zinovieff, il VCS
3 e' una macchina a tre oscillatori, di cui due sono a frequenza audio
da 1hz a 10khz con forme d'onda sinusoidale, quadra, rampa, triangolare, e quadra
a simmetria variabile, mentre il terzo che funge da lfo, ha una frequenza che
va da 0.025hz a 500hz con forme d'onda quadra, triangolare, e rampa.
Completano la dotazione di base un VCF passa basso a 18 db ottava, un VCA, un
generatore di rumore bianco o variamente colorato, e uno strano generatore d'inviluppo
a quattro sub eventi denominati attack, on, decay, off. Inoltre il VCS
3 possiede un generatore di riverbero con rapporto segnale/effetto controllabile
in tensione, un ring modulator, un joystick a due assi, e in più un ingresso
microfonico per filtrare segnali esterni triggerabile con l'inviluppo.
A causa delle difficoltà di accordatura degli oscillatori (mancando il
fine tune) e della mancanza di sincronizzazione degli stessi lo strumento viene
solitamente usato per la creazione di effetti, o per trattare sorgenti sonore
esterne. le connessioni tra i vari circuiti avvengono mediante l'inserzione di
piccoli plugs contenenti una resistenza su una matrix (sistema di incroci), di
16 x 16 fori con cui e' possibile creare qualsiasi percorso del segnale (tavola
4). Lo strumento non e' fornito di tastiera, ma e' possibile scegliere
tra una normale tastiera bifonica con dinamica di tocco e con un oscillatore incorporato
(dal 1970), o la ks digital sequencer keyboard, una tastiera piatta sensibile
alla dinamica di tocco, con un sequencer incorporato capace di memorizzare fino
a 256 note trasponibili e accordabili in maniera diversa dagli oscillatori.
Lo strumento veniva prodotto in due versioni: il modello portatile, conformato
a valigia e comprensivo di tastiera aks, e la versione da studio su pannello (identica
nei controlli) denominata VCS 3. |
Nel
1971 Robert Moog immette nel mercato dei sintetizzatori un modello ridotto
del Moog modular system, il Minimoog
synth model-d,
pubblicizzato come "the moog for the road". Lo
strumento era contenuto in un solido mobile di legno con un pannello metallico
rialzabile su cui si effettuavano le regolazioni dei vari circuiti. Dotato
di tastiera a 44 tasti (fa-do) il Minimoog
possedeva tre oscillatori con sei forme d'onda ciascuno (triangolare, dente di
sega, quadra, sinusoidale, quadra a simmetria variabile, rampa), due generatori
d'inviluppo ads (in cui il decay regola sia il tempo di decadimento che, mediante
un interruttore il release), un VCF passa basso, un VCA, un generatore di rumore
bianco e rosa, e un mixer per la regolazione di livello dei vari generatori.
Completamente connesso internamente il Minimoog presentava sul pannello rialzabile
solamente le entrate per il controllo in tensione (cfr iv.2.2.) esterno degli
oscillatori, del filtro, e dell'amplificatore. Un punto decisamente a
sfavore dello strumento era la caratteristica del trigger input: realizzato con
un connettore cinch-jones (1), aveva la particolarità di funzionare
a caduta di tensione, per cui risultava impossibile interfacciare il Minimoog
con altri sintetizzatori o sequencer. La tastiera era monofonica a "low
priority" e a triggeraggio singolo. questo significava che se si premeva
un tasto mentre ne era abbassato un'altro l'inviluppo non generava il trigger,
con la conseguente necessità di suonare staccato in caso di passaggi veloci.
Un'importante soluzione tecnica fu l'adozione di due rotelle a sinistra della
tastiera. una serviva per shiftare la frequenza degli oscillatori, mentre l'altra
regolava la quantità di modulazione. Pur non assicurando un ritorno
a zero sempre preciso, consentivano la produzione di tutta una serie di vibrati,
di inflessioni davvero uniche per la loro articolazione. Sebbene l'obiettivo di
Moog fosse quello di realizzare uno strumento versatile e maneggevole,
il vero successo del Minimoog fu dovuto alla qualità timbrica unica che
tuttora non trova repliche. I
costi di produzione elevati dovuti all'uso di componenti di qualità, e
l'introduzione di nuove tecnologie fecero cessare la produzione del Minimoog nel
luglio del 1981. Con la nascita ed il successo del Minimoog il sintetizzatore
cambiò aspetto diventando nel giro di pochi anni più il fedele compagno
di lavoro di un turnista che il mezzo per scoprire nuovi orizzonti musicali.
Infatti l'industria si lanciò subito (1971) nella produzione sfrenata
di sintetizzatori che ricalcando i concetti di Moog si indirizzavano maggiormente
a quei musicisti che utilizzavano il sintetizzatore dal vivo. Fu cosi
che iniziò il lento declino dei sistemi modulari, e la nascita di nuove
ditte specializzate nell'incredibile produzione ancora in corso di migliaia di
sintetizzatori aventi in linea di massima quasi tutti le stesse caratteristiche
(due oscillatori, un VCF, e un VCA), che certo non hanno contribuito alla concezione
di strumenti nuovi, ma che senz'altro hanno avvicinato l'elettronica al musicista
meno fornito di nozioni tecniche. |
Le
nuove ditte giapponesi entrate nella produzione di sintetizzatori furono la Yamaha,
la Korg, e la Roland, che forti di una tecnologia avanzata dai bassi
costi produttivi ben presto imporranno sul mercato i loro apparecchi.
La
Roland produce un sistema modulare chiamato System
100, che come concezione costruttiva si rifà al Moog modular system
di Robert Moog. Infatti il System 100 m e' un sistema modulare in cui
i moduli sono alloggiati all'interno di un rack che li contiene (massimo 5 moduli)
e gli fornisce la tensione di alimentazione. Tra i moduli disponibili
per comporre un sistema si ricordano qui il 121, con due VCF passa basso e un
passa alto a scatti, e il 130, con due VCA. Entrambi questi moduli posseggono
due preziose spie che indicano la presenza di un segnale all'interno del circuito
e l'eventuale andamento in distorsione dello stesso. Chiaramente il
sistema e' controllabile anche mediante tastiera monofonica ( modulo 181), o tastiera
semipolifonica a quattro voci ( modulo 184). A questo punto il primo
grande risultato da raggiungere da parte della tecnologia legata ai sintetizzatori
fu la polifonia. Infatti
nasceva l'esigenza da parte del musicista di poter emulare grandi masse orchestrali
per riempire i propri arrangiamenti con suoni che non fossero quelli dell'organo
o del pianoforte. Nascono cosi intorno al 1974 le prime tastiere
violini o string machines. Queste erano costituite da una tastiera
completamente polifonica generalmente a quattro ottave di estensione dedicata
alla riproduzione degli strumenti ad arco. La generazione del suono avveniva
tramite due canali di produzione di onde a dente di sega lievemente scordati tra
loro, in modo da ottenere quei battimenti tipici di una massa d'archi.
Il suono cosi ottenuto veniva filtrato con un normale filtro passabasso, e senza
ulteriori modifiche veniva amplificato. La più popolare string
machine fu la Solina, fabbricata
in Olanda su brevetti ARP, e conosciuta sul mercato americano come ARP string
ensemble. In alcune tastiere pseudo polifoniche in addizione alle voci
orchestrali era fornita una sezione sintetizzatore che sfruttava gli stessi oscillatori
della sezione archi. Queste dotate generalmente di un solo VCF, e di
un adsr rappresentano le prime proposte di sintetizzatore polifonico.
Nel sintetizzatore polifonico,
il numero degli elementi base per la sintesi del suono deve essere moltiplicato
per il numero delle voci eseguibili contemporaneamente sullo strumento.
Questo significa che un polifonico a sei voci possiede sei VCO, sei VCF, e sei
VCA, e chiaramente l'utilizzazione dal vivo di una macchina cosi costituita risulta
davvero difficile. La vera spinta all'avvio dei sintetizzatori polifonici
fu data dall'introduzione delle tecnologie digitali nella produzione di
strumenti musicali, che resero possibile la costruzione di sintetizzatori programmabili
e dotati di memoria (all'inizio rom, in seguito eprom). E'
cosi che nasce il Polymoog
della Moog di New York, con otto memorie modificabili, due inviluppi, equalizzatore,
e tastiera a 71 tasti (mi-re). La Yamaha offre in risposta il
CS 80. Dotato di tastiera a cinque ottave (do-do) e di un certo numero
di memorie, il cs 80 era costituito da due VCO per voce, da due VCF, da due adsr,
e da due generatori di rumore.
La Korg immette sul mercato la serie di sintetizzatori polifonici
da studio PS, comprendente tre modelli, il PS 3100, il PS 3200,
e il PS 3300. Il modello 3200 permette di richiamare 16 memorie
contenenti timbri diversi programmati precedentemente dall'utilizzatore stesso.
A questo punto, ed e' storia dei nostri giorni, il microprocessore sarà
inserito in tutti i sintetizzatori polifonici permettendo la programmazione e
la memorizzazione di tutti i parametri presenti sui pannelli dei polifonici.
Il VCO si chiamerò ora dco (digita controlled oscillator), e non differisce
dal VCO per il principio di generazione del suono che rimane sempre di tipo analogico
(cfr v.3.1.), ma per il sistema di controllo dei vari circuiti.
Infatti
e' solo l'adozione di valori discreti (cioè in codice binario), che rende
possibile il processo di memorizzazione di dati richiamabili in ogni istante e
gestibili con l'uso di microprocessori dedicati (cfr v.2.1.). La
Roland presenta il jupiter 8, 64 memorie, completamente programmabile,
e con tastiera splittabile (cioè divisibile) a piacere in due sezioni con
timbri diversi. La moog non tarderà a farsi sentire presentando
il Memorymoog, la versione digitalizzata a 40 memorie del vecchio Polimoog,
e il Source, un monofonico a due oscillatori con 64 memorie tutto a sensori
con un'unica grande manopola per l'accesso dei dati.
Inizia
infine grazie alla Korg con il Polysix anche la produzioni di polifonici
a costi decisamente accessibili. Fra le nuove case produttrici di sintetizzatori
polifonici digitali si fanno subito notare le americane Oberheim con l'OB-Xa
(120 memorie), e la Sequential Circuit con il Prophet ten, ma le
vere novità giungono nel 1983 con la serie dx della Yamaha, e l'adozione
da parte dell'industria del MIDI
(musical instrument digital interface). La serie DX della Yamaha
comprende una serie di strumenti (DX 7, DX 9), e di moduli con cui e' possibile
formare degli spettri con una tecnica di sintesi chiamata modulazione di frequenza.
Per le caratteristiche proprie della modulazione di frequenza scompaiono
nella serie dx le tensioni di controllo e tutti quei circuiti a loro relativi
(VCO, VCF, ecc), lasciando il posto ad algoritmi e operatori che costituiscono
il cuore del sistema. di programmazione piuttosto complessa, la serie dx ha riscontrato
subito un'enorme successo specialmente con il DX 7, successo dovuto alla
timbrica eccezionale dello strumento e alle nuove passibilità di sintesi
offerte dalla modulazione di frequenza.
1) cinch jones, connettore speciale adoperato solo dalla moog per il controllo
del trigger

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